
Terapie fai da te: non segui le indicazioni del medico? Ahi ahi ahi….
da Huffington Post 01/02/2016 13:10 CET
I farmaci sono uno strumento prezioso ma troppo spesso se ne abusa oppure si tende al fai-da-te, le persone prendono un antibiotico che “l’altra volta mi ha fatto bene”, aumentano i dosaggi per avere effetti più veloci, sospendono le terapie “mi sento meglio” e così rischiano di mettere a repentaglio la salute.
Fenomeno che interessa sia i malanni acuti che quelli cronici, difficile stupirsi se poi le patologie non guariscono o peggiorano, aumentano gli effetti collaterali, si rischiano sovradosaggi sino agli avvelenamenti. I dati sono impressionanti: nel 2012 tra il 13 e il 45% dei pazienti non è stato aderente alle terapie prescritte. Un paziente su 10 in una terapia di sei mesi salta almeno 10 dosi del farmaco e l’88% dei pazienti si diminuisce propria sponte le dosi dell’80%, il risultato? La cura non funziona. E allora dal medico che ci andiamo a fare? Sembra proprio che l’aderenza al trattamento, ossia la capacità del paziente di seguire le raccomandazioni del medico per ciò che attiene ai tempi, alla durata, alla frequenza e alle dosi del farmaco per l’intero ciclo di terapia, sia una sorta di chimera. Fenomeno che rappresenta una delle prime cause di ricadute e ospedalizzazioni. Come se il paziente, gestendo in maniera autonoma i farmaci voglia ribadire il controllo della propria patologia e della salute.
“Gli americani chiamano engagement lo stesso termine usato per il fidanzamento” spiega il Prof. Emilio Sacchetti, Ordinario di Psichiatria all’Università di Brescia. “Compliance ha un senso più passivo in cui il medico ordina, dirige e il paziente è tenuto a seguire le indicazioni. L’autogestione invece responsabilizza il paziente che ha compreso e condiviso un percorso di cura. Sembra un paradosso, ma curarsi è un peso che si accetta solo quando si sta male, appena la situazione migliore si devia dal percorso e spesso si sbaglia strada. Una parte della non aderenza sta poi negli ostacoli all’accesso alle terapie, quando ad esempio il sistema introduce sistemi di compartecipazione alla spesa, o il paziente deve ritirare le medicine presso una farmacia ospedaliera, oppure deve rivolgersi ad un sanitario per la somministrazione. Tutte condizioni che portano all’abbandono.
E qualche volta ci si mette la famiglia che invece di supportare chiede se tutti i farmaci siano “davvero” necessari. Paradossalmente questo non succede nei pazienti psichiatrici: il malessere ha un tale impatto sui familiari e i benefici sono così evidenti che proprio questi pazienti sono più aderenti”. Proprio riguardo gli antidepressivi, recenti studi hanno rivelato che quasi il 50% dei pazienti sospende il trattamento nei primi tre mesi di terapia e oltre il 70% entro sei mesi. Mentre i dati provenienti dai database delle Asl italiane ci dicono che solo nel 2012 seguono le terapie il 38,4% dei malati.
Tendono all’autogestione quasi tutti i pazienti con malattie croniche, nei paesi sviluppati si ha un’assunzione regolare delle terapie preventive in meno del 28% dei pazienti, troppo poco per garantire un controllo efficace della malattia. I diabetici sono tra i meno ligi alle prescrizioni: lo studio Code-2 (Costi del Diabete di tipo 2 in Europa) ha evidenziato che in Europa solo il 28% dei pazienti in trattamento riesce a raggiungere un buon controllo dei valori glicemici. Eppure il self-management della malattia, come il controllo regolare dei valori glicemici, le restrizioni dietetiche, la cura della vasculopatia degli arti inferiori e le visite oftalmologiche, é in grado di ridurre l’incidenza e la progressione delle complicanze del diabete. Negli Stati Uniti, solo il 2% dei diabetici adulti segue correttamente tutte le indicazioni dell’American Diabetes Association. Le conseguenze sono drammatiche con un aumento delle comorbidità e delle patologie correlate come l’ipertensione, l’obesità e la depressione. Un prezzo molto alto da pagare.
Tra gli ipertesi, solo il 55,1% dei pazienti assume il trattamento con continuità. Nonostante siano disponibili terapie realmente efficaci, molti studi hanno dimostrato e meno del 25% dei pazienti trattati riesce controllare efficacemente i valori pressori. In alcuni studi è emerso che i pazienti con un livello scarso di adesione alle terapie con betabloccanti avevano una possibilità di andare incontro alle complicazioni tipiche della malattia coronarica 4-5 volte in più rispetto a quelli più scrupolosi.
L’Aifa e gli altri enti regolatori europei sono impegnati a individuare strategie semplici per promuovere la compliance: educazione terapeutica, responsabilizzazione del paziente e suo coinvolgimento nelle scelte. In Europa si è formato il Gruppo d’azione sull’aderenza e la prescrizione nell’ambito di un programma sull’invecchiamento in salute. “Sono proprio gli anziani uno dei principali target di intervento” spiega il Professor Sacchetti ” hanno patologie diverse, numerosi farmaci da assumere, pagano lo scotto di un maggior numero di effetti collaterali, col risultato che le cure non risultano efficaci. E quindi rischiamo di valutare un paziente come “non responder” non perché il farmaco sia inefficace ma semplicemente perché non è stato assunto correttamente. Importante anche il fattore “numero di assunzioni al giorno” quando è possibile stabilire un’unica assunzione giornaliera l’aderenza schizza all’80%, mentre ricordare di dover prendere le compresse più volte la fa crollare al 50%. E poi c’è l’aspetto della noia, della stanchezza di una routine non gradita, in uno studio è stato dimostrato che la persistenza si riduce drammaticamente dopo i primi 6 mesi di terapia. Esiste poi un singolare fenomeno chiamato ‘aderenza da camice bianco’ in cui alcuni giorni prima della visita di controllo il paziente assume tutti i farmaci regolarmente perché teme di essere scoperto”.