EVENTI CARDIACI FATALI RESPONSABILI DEL 43% DEI DECESSI NEI PAZIENTI IN DIALISI

La dialisi è una terapia sostitutiva della funzione renale e che diventa necessaria quando i reni non sono più in grado di lavorare normalmente sia nei pazienti che già soffrono di una malattia renale cronica ormai giunta allo stadio finale, sia per coloro i quali hanno un arresto improvviso (acuto) della funzione renale stessa

“Ha fornito il dato una nostra rassegna apparsa su Interntional Journal of Cardiology in cui si quantifica nel 43% la quota di decessi causati da MCI in soggetti dializzati e che ha ricordato come anche dati americani dello United States Renal Data System dicono che il 61% delle morti sia attribuibile ad aritmie fatali. Un dato da tenere in giusta considerazione se pensiamo che alla luce del progressivo aumento dell’età della popolazione e all’incidenza del diabete con il suo corollario di danni renali,  il numero delle persone che hanno bisogno di un trattamento dialitico è in costante aumento. A sua volte la Morte Cardiaca Improvvisa (SCD) è la maggiore causa di decesso cardiovascolare con una incidenza del 25%” sottolinea il Dottor Luca Di Lullo, Responsabile Scientifico del Congresso Cardionefrologia 2019 in corso a Roma che aggiunge: “la probabilità di presentare, in arco di 36 mesi, un arresto cardiaco, è del 12% nei pazienti in dialisi con meno di 20 anni ma balza al 35% in quelli di età superiore ai 75. E uno studio pubblicato su Seminars in Nephrology ha evidenziato un tasso di mortalità a 48 ore dall’evento di arresto del 60% del campione di pazienti dializzati osservati nella ricerca”. 

Il trattamento è un vero e proprio salvavita che  provvede a filtrare dal sangue acqua in eccesso e sostanze nocive, mantenendo il corretto equilibrio tra liquidi ed elettroliti. Un vero e proprio “lavaggio” del sangue che si esegue con macchine e filtri (i veri “reni artificiali”) sempre più sofisticati. 

In stretta correlazione con il trattamento emodialitico vi sono alcuni eventi, spesso fatali, legati all’elevata instabilità cardiovascolare di questi soggetti: la presenza di ipertrofia del ventricolo sinistro, di cardiopatia ischemica, di squilibri nel bilancio degli elettroliti (soprattutto potassio, sodio e calcio), iperattività del sistema nervoso simpatico, predispongono i pazienti al rischio di Morte Cardiaca Improvvisa

MENO POTASSIO E DIALISI AD ALTO FLUSSO – I dati sono talmente eclatanti che al Congresso di Roma gli esperti hanno fatto il punto sugli interventi che la letteratura ha evidenziato come strategie efficaci per diminuire questa eventualità: “E’ stato osservato che eventi cardiaci fatali si manifestano più spesso subito dopo una seduta di dialisi e subito prima della successiva probabilmente a causa delle rapide variazioni dei livelli di elettroliti, primi tra tutti potassio e calcio che vengono mobilitati a livello extra cellulare. La caduta repentina dei livelli di potassio può avere conseguenze sul cuore e predisporre ad aritmie. Si è visto quindi che l’adozione di un bagno di dialisi a concentrazioni ridotte di potassio riduce il rischio e l’adozione di sedute di dialisi notturna a basso flusso e ad alta frequenza/flusso. Le macchine ad alto flusso infatti consentono la rimozione di molecole più grandi come fattori infiammatori, fattore D del complemento capaci di determinare un danno vascolare. Lo studio HEMO infatti ha evidenziato una riduzione dell’8% per tutte le cause e del 20% per quelle cardiache ” spiega il Dott. Antonio Bellasi, responsabile scientifico del Congresso Cardionefrologia 2019. 

USO DI BETABLOCCANTI – Anche l’impiego di specifici betabloccanti è una strategia di prevenzione: dopo un anno di trattamento con carvedilolo si è assistito ad un miglioramento della funzione del ventricolo sinistro e ad un numero minore dei decessi rispetto al gruppo assegnato al placebo (51% verso 73%). Ancora più marcata la differenza in positivo dell’uso del betabloccante quando venivano valutati i decessi per cause cardiovascolari, momento in cui il farmaco mostrava i muscoli rispetto al placebo (29% verso 68%). 

ANEMIA – L’ipertrofia ventricolare sinistra è in stretta correlazione con un quadro di anemia, ragion per cui si pensa che una corretta terapia con eritropoietina e ferro possa essere in grado di influenzare positivamente anche la funzionalità cardiovascolare, anche se in questo  caso si rendono necessari ulteriori trials clinici

AMIODARONE E DEFRIBILLATORI AUTOMATICI . Allo studio anche l’approccio con farmaci anti aritmici come l’amiodarone per il quale però esistono ancora pochi trial ad hoc nei pazienti con patologia renale cronica. Al momento il gold standard è rappresentato dall’impianto di defibrillatori automatici (ICD) che certamente riducono la mortalità totale ma che nei pazienti neuropatici sono legati ad elevate percentuali di complicanze. La decisione di utilizzare il dispositivo quindi va sottoposta ad una rigorosa valutazione che tenga conto sia dell’età del paziente che dello stadio di malattia renale: in quelli con stadio 1 e 2 la riduzione delle aritmie è significativa mentre gli effetti sono scarsi o nulli negli stadi più avanzati. 

La verità è che la stessa dialisi rappresenta un fattore di rischio di morte cardiaca se pensiamo che la sua incidenza diminuisce drasticamente dopo il trapianto di rene. 

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