La storia di Giulia. Che non voleva morire in ospedale, voleva morire a modo suo

da Huffington Post 07/08/2015 12:31 CEST

Sono iscritta al gruppo Facebook di Slow Medicine e vi posto spesso i miei articoli. È un luogo di condivisione e mi porta molteplici spunti di riflessione sul tema che da 25 anni è la mia passione e la mia vita, la medicina. Con i suoi correlati come la vita, la morte, l’etica che si intrecciano alla vita umana e la plasmano. Sulla pagina oggi hanno postato la storia dell’infermiera inglese che a 75 anni ha deciso per l’eutanasiaper timore di una malattia grave e invalidante che la rendesse un peso per la sua famiglia. Non entro nel merito di una simile decisione e non la commento perché ritengo che non sia possibile farlo dalla semplice letura di una notizia. Ma mi è venuta in mente una storia che mi ha coinvolta e fatto riflettere.

Giulia (il nome è di fantasia) ha poco meno di settantanni, è una professionista brillante e di successo, una donna acuta, intelligente, ironica. Parliamo su Facebook. Spesso ha qualche problema di salute, ma probabilmente è il prezzo da pagare all’età. L’atteggiamento è sempre battagliero, la mente lucidissima (questo dettaglio è importantissimo). Non è depressa, solo più stanca del solito. Parte per alcuni dei suoi viaggi che commenta con ardore e completa con foto di paesaggi indimenticabili e suggestivi. Indossa caftani colorati, è spettinata e sorridente, il vento le scompiglia i capelli. È vitale come sempre.

Dobbiamo sentirci al suo ritorno, dobbiamo parlare, non mi chiama, passano un paio di settimane, poi tre. Mi chiama una amica comune e mi gela, mi abbatte come con un pugno in piena faccia: Giulia è morta. Non so per quale motivo ma la gente vuole sempre sapere di cosa sei morto, come se la rassicurasse, come se potesse dire, allora a me non può succedere, un pregiudizio cognitivo dal momento che prima o poi tocca a ciascuno di noi. Quindi anche io ho chiesto: come?

E sulla risposta ho riflettuto migliaia di volte. Cancro. Lo aveva già avuto trent’anni fa, aveva lottato e combattuto, aveva vinto, di quando vinci le battaglie e c’è la tregua ma non sei certo di come andrà la guerra. Due anni fa il cancro era tornato, mi dice, e lei ha deciso di far finta di niente, di vivere la sua vita come se niente fosse. Si è rifiutata anche solo di pensarci, non ha voluto più soffrire, niente farmaci, niente radio, niente nausea, niente vomito, niente di niente, la sua vita e accada ciò che deve. Nessun controllo, nessuna indagine per conoscere la progressione della malattia. L’ha semplicemente ignorata.

Aveva confidato ad amici cari che aveva avuto una vita bella, intensa, piena. Era stata felice e aveva avuto molto. Non aveva altro tempo da chiedere, il suo lo aveva sfruttato sino in fondo. Poteva anche andarsene. Non voleva morire in un ospedale attaccata agli aghi, voleva addormentarsi nel suo letto con la coperta portata dal Mali e gli incensi acquistati nell’ultimo viaggio.

Non voleva morire, ma se doveva, voleva morire a modo suo e questa è una sottile ma immensa differenza. Trovo la storia di Giulia assolutamente emblematica e così ve la consegno, sperando che a nessuno venga in mente di attaccare etichette o fare diagnosi azzardate. Ci vuole coraggio ad accettare una simile sentenza e lei era una grande donna. Inutile dire che manca a tutti noi immensamente. In loving memory.

 

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