La carne provoca il cancro, dicono gli esperti dell’Oms. Ecco perché

da Huffington Post – 26/10/2015 20:15 CET

Grassi? Zuccheri? A cosa dobbiamo attribuire l’epidemia di tumori e obesità degli ultimi decenni? A sorpresa l’International Agency for Research on Cancer dell’Organizzazione Mondiale della Sanità punta l’indice su un nutriente tanto amato quanto odiato e oggetto della prossima guerra di opinionisti più o meno titolati: la carne rossa e i prodotti della sua trasformazione: insaccati, hamburger, carni lavorate come wurstel, pancetta e e così via sino alla carne in scatola e ai sughi pronti a base di carne.

Secondo le ricerche ci stiamo alimentando in modo da innescare il cancro. Ecco allora che le fettine di vitella o le bistecche di manzo che ci guardano dal banco carni del nostro supermercato assumono un aspetto meno appetibile e più sinistro. Mentre il crescente esercito di vegetariani e vegani, pari al 7% circa della popolazione che ci circonda sembra sorridere sotto ai baffi mentre pensa: ‘lo dicevamo noi’. Non solo, perché questo nuovo allarme mette in crisi la maggior parte dei regimi dietetici studiati per perdere peso che da sempre suggeriscono di assumere proteine a volontà, suggerimento che alla sottoscritta non è mai sembrato particolarmente ragionevole.

Nonostante i tumori possano avere cause varie e complesse in cui geni e ambiente esercitano il proprio influsso, è ormai accertato che anche quello che mangiamo possa – alla lunga – farci ammalare o proteggerci.
Una buona notizia se questo ci porta a modificare le nostre abitudini e stili di vita, cattiva se siamo convinti che ‘una fiorentina in più non ci ucciderà’ purché non sia cotta alla brace sino a mostrare i segni della carbonizzazione. E invece sembra che anche il prosciutto crudo tagliato fino, ma ‘mi levi il grasso per carità’ sia il nuovo killer insieme a bacon e macinato e ad alcuni prodotti dell’eccellenza made in Italy . Che sia o meno un nuovo tentativo di limitare le western diet di stampo americano con un eccesso di cibo da fast food, la questione vale la pena di essere approfondita.

In che modo la carne rossa può essere un fattore di rischio per le decine di malattie tumorali che ci fanno tanta paura? Lo abbiamo chiesto a un esperto, il prof. Luigi Fontana, Prof. Luigi Fontana, Ordinario di Scienze Nutrizionali all’Università di Brescia e alla Washington University di St. Louis in USA, dove ha lavorato sugli effetti – ormai accertati – della restrizione calorica sulla longevità.

La prima domanda è se esista una teoria del cancro basata sul cibo: “La nutrizione gioca un ruolo fondamentale nell’insorgenza e progressione di moltissimi tumori tipici delle popolazioni occidentali. L’eccesso di calorie ad esempio innalza la produzione di insulina, un fattore che stimola la crescita tumorale, e aumenta i livelli di numerose sostanze infiammatorie come il tumor necorsis factor e l’interleuchina 6 anche esse implicate nello sviluppo dei tumori, delle malattie cardiovascolari, autoimmuni e nel diabete” prosegue l’esperto “Le proteine animali, se assunte in quantità eccessive, inducono la produzione di potenti fattori di crescita tumorale come l’IGF-1, che accelera anche l’invecchiamento delle cellule e dell’organismo.

A questo rischio iniziale si aggiungono i metodi di cottura della carne, che producono sostanze già note come cancerogene: gli idrocarburi aromatici policiclici (es. carne bruciata in superficie) e l’acrilamide (es. patatine fritte ad elevate temperature)”. Ma cosa significa quantità eccessive? Eravamo tranquilli con la piramide alimentare mediterranea attaccata con i magneti sul frigorifero che ci suggeriva sommessamente di non mangiare carne più di due volte alla settimana e consigliava di integrare con il pollame, considerato carne bianca più innocua, mentre gli integralisti del manzo ne contano anche cinque, dieci porzioni a settimana.

“Purtroppo la dieta occidentale ha un apporto eccessivo di proteine sin dall’infanzia” prosegue il Prof. Fontana. “Sappiamo che troppe proteine favoriscono i fattori di crescita tumorali tra cui il temibile IGF-1 (somatomedina) che influisce a sua volta con proteine che regolano la crescita e la proliferazione cellulare. In un recente studio pubblicato sulla rivista Oncotarget abbiamo indotto il tumore al seno e alla prostata in un gruppo di cavie e poi le abbiamo sottoposte a due tipi di dieta: una che prevedeva il 7% di apporto proteico e una al 21%. Ebbene, nel gruppo che assumeva poche proteine il tumore si è ridotto del 70% nelle prime 5 settimane e alla fine dello studio le dimensioni del tumore era dell’80% più basso che nel gruppo al 7%. Poi abbiamo trattato le cavie con un farmaco e la dieta, e anche qui il gruppo con poche proteine ha mostrato di rispondere molto meglio alla terapia farmacologica”.

L’importante studio EPIC-Oxford ha analizzato le abitudini e i dati clinici un gruppo di 65.400 persone, di cui circa il 30% vegetariane, mentre in un secondo caso sono stati studiati 96.000 soggetti, per il 50% vegetariani. Per entrambi i gruppi il rischio è risultato ridotto del 10% nei vegetariani britannici e del 16% nei vegani californiani. Riguardo al tipo di tumore poi, i vegetariani risultano specificatamente protetti nei confronti dei tumori gastrointestinali (-25% nei latto-ovo californiani, -62% per lo stomaco nei vegetariani britannici), dell’apparato sessuale femminile (-34% nei vegani californiani), del sangue (-26% nei vegetariani britannici).
Sempre in California un progetto chiamato The Prostate Cancer Lifestyle Trial, ha seguito nel tempo soggetti affetti da tumore prostatico in stadio iniziale. Il gruppo sottoposto ad una dieta a base vegetale e con basso contenuto di grassi (low-fat), ha mostrato una progressione più lenta del tumore e una riduzione della necessità di ricorso alla terapia convenzionale invasiva (prostatectomia radicale, radioterapia, o terapia ormonale soppressiva).

Mangiare meno proteine e limitare la carne rossa tout court però non basta, è fondamentale anche modificarne la qualità passando alle proteine vegetali mentre sul ruolo di quelle contenute in pesce e latticini serviranno nuove ricerche. Intanto, negli allevamenti intensivi di bovini e suini si tira un sospiro di sollievo e di speranza, e sembra sentirli muggire: ‘io speriamo che me la cavo’.

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